Scritto tra il 1020 e il 1027, il “Libro della guarigione (Kitàb al-Sifà’)” del medico persiano Avicenna è ancora oggi un punto di riferimento per chiunque voglia comprendere l’evoluzione del pensiero occidentale dopo Platone e Aristotele. Questo trattato, punto d’incontro tra la filosofia greco-araba e la teologia islamica, segna infatti il culmine di tutta la tradizione precedente e, insieme, l’inizio di una nuova fase della concezione e della prassi filosofica. Nell’opera, l’originario pensiero di Aristotele, dopo essere stato reinterpretato secondo le indicazioni degli esegeti greci, viene coniugato con una visione del mondo di matrice monoteista: è grazie a questa sintesi che il Kitàb al-Sifà’ ha goduto di grande fortuna non solo nel mondo arabo, ma anche tra i teologi e filosofi cristiani. Non è un caso che, all’interno della “Divina commedia”, Dante faccia sedere Avicenna – unico filosofo musulmano, assieme ad Averroè – nel “castello degli spiriti magni”: come scrive nell’introduzione al volume Amos Bertolacci, Avicenna è “l’esecutore materiale del progetto di rifacimento della filosofia di Aristotele che è insito nella tradizione precedente”. Il “Libro della guarigione” è una pietra miliare che delimita il percorso compiuto dalla filosofia fino all’XI secolo.
Ibn al Arabi (traduttore Angelo Iacovella)
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