Vita dell’arciprete Avvakum scritta da lui stesso
Avvakum
Adelphi - MI
2017
€18,00
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Molti hanno detto che la grande letteratura russa comincia con questo libro, con la sua dolorosa asprezza, con la forza del nominare che Avvakum aveva e si trasmise poi, per vie misteriose, a scrittori così diversi come Puškin e Tolstoj. Avvakum visse nella tempesta religiosa del Seicento russo, che culminò nello scisma. La sua parte era quella del perdente, la parte dei raskolniky, i «Vecchi Credenti», contrari a ogni correzione dei testi sacri e a ogni grecizzazione nella liturgia e nella dottrina. Allora la Russia si spaccò in due, e quella spaccatura si prolungò per tutta la sua storia, sino alle dispute fra occidentalisti e populisti nell’Ottocento, fino a oggi.
Rinchiuso nei sotterranei di una gelida prigione, prima di morire Avvakum volle lasciare testimonianza della sua vita – o meglio di come Dio operò su di lui in certi punti della sua vita, e soprattutto nella lotta testarda contro coloro che «col fuoco, con il knut e col capestro vogliono affermare la fede». È una storia di incessanti violenze, dove i contrasti teologici si manifestano a pugni, a calci, a frustate, fra lingue strappate, sepolti vivi, roghi, saccheggi, persecuzioni, fughe nell’immensità asiatica. La vita di Avvakum è come un unico naufragio, dove a sprazzi intravediamo l’arciprete aggrappato a qualche relitto di chiatta: «Fiume renoso, ci si affonda dentro, zattere pesanti, sorveglianti spietati, nodosi i bastoni, secche le sferzate, tagliente il knut, torture crudeli, il fuoco e i tratti di corda». Vi è in lui una carica primordiale, che non si lascia esaurire. Tutto il suo fervore spirituale è intensamente fisico. Si azzuffa con i demoni come fossero cani e il diavolo lo guarda seduto sulla stufa. Un giorno, sfinita sul ghiaccio, l’arcipretessa si rivolge a Avvakum: «“Quanto durerà questo tormento, arciprete?”. Rispondo: “Markovna, fino alla morte”. Al che lei: “Va bene, Petrovic: tireremo ancora avanti”». Questo dialogo è sigillo della storia russa e del suo spirito. Dopo una vita di tumultuose peripezie, Avvakum finì sul rogo. Dice la leggenda che per sette volte lo zar ordinò il supplizio di Avvakum, e per sette volte, mentre il boia preparava il rogo, lo zar e la zarina caddero malati, e intimoriti mandarono un messo per annullare la pena. Per chi apra oggi le pagine di questa Vita non vi è migliore accompagnamento delle parole di Andrej Sinjavskij: «Su Avvakum non si possono fare tanti discorsi: su di sé ha già detto tutto lui, si è ficcato come un orso nella sua tana e l’ha riempita tutta».
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